In piedi accanto alla finestra, il naso schiacciato contro il vetro che si appannava al respiro, ho osservato a lungo un uomo alto, magro, dall'andatura calma e sicura, l'impermeabile grigio e il cappello ad ampie tese, mentre si allontanava («Verso il punto di fuga», pensai) a larghi passi sotto la pioggia fine lungo una strada deserta che molto lontano andava a sfociare in una via trafficata, uomini e donne e cani al guinzaglio, bambini, accattoni, frastuono di macchine e di autocarri.
Dire che ho visto, come in un film, la parola FINE emergere in assolvenza dalle profondità di un cielo grigio e minaccioso, ma, forse, solo dipinto? Eppure, potessi spegnere il teleschermo, potessi staccare il volto dal vetro, è umido e il naso ormai duole, potessi almeno socchiudere le palpebre di tanto in tanto, ora che l'uomo è scomparso, ora che il traffico è fermo ai lati delle strade, ora che la gente se ne torna a casa perché la pioggia è cresciuta, e poi è tardi, è già scesa la sera, non c'è più nulla da fare e tutti sono stanchi.
Ora che tutto è finito e non c'è più nulla da vedere, e si avverte soltanto il crepitare delle gocce contro il vetro come pixels impazziti di un teleschermo ancora acceso a notte fonda, dopo la fine delle trasmissioni.